Alcuni esempi di persone alle prese con le relazioni d’amore, ma soprattutto a confronto con sé stesse.
C’è l’inizio, in cui tutto si tinge di rosa… o almeno dovrebbe.
C’è il seguito, quando la storia si è consolidata e i due partner si confrontano con la quotidianità.
E c’è la fine, che spesso tarda ad arrivare o si lascia dietro lunghissimi strascichi.
Pensieri di uomini e donne con le loro difficoltà, con i loro sentimenti spesso contraddittori e intricati, più o meno consapevoli di quanto i loro modelli di relazione e le loro aspettative ne influenzino il comportamento attuale.
Per quanto apparentemente assurdi ed esasperati, o forse proprio per questo, mi auguro che il lettore possa riconoscere questi stati d’animo e trarne profitto per confrontarsi con quei nodi esistenziali che necessitano di maggiore cura. Per migliorare le proprie relazioni, o per sperimentare quel pieno sentimento d’amore che non hanno ancora vissuto.
L'INIZIO
Nelle fasi iniziali di una relazione, è l’infatuazione a fare da apripista alla possibilità di stabilire un legame più profondo con l’altro.
Si tratta di un sentimento impulsivo e potente di attrazione verso una persona che ci fa spendere tempo ed energie nella conoscenza di un potenziale compagno/a, ma che allo stesso tempo ci distrae dalla nostra quotidianità e ci fa scoprire diversi da quello che pensavamo di essere.
La paura del cambiamento e di questi sentimenti intensi, l’ideale di una relazione perfetta o di un partner che soddisfi tutti i nostri bisogni, lo spettro che l’entusiasmo iniziale si trasformi in delusione o dolore possono mettere un freno o accelerare questo impeto emotivo, generando non pochi dubbi e sofferenze.
IL SEGUITO
Nonostante i sentimenti reciproci e gli obiettivi condivisi, i due partner guardano alla relazione da prospettive e modelli educativi e culturali diversi.
Spesso una richiesta di rassicurazione è nascosta dietro una domanda di ordine più pratico che, se frustrata, genera un senso di insoddisfazione attribuito all’intero rapporto.
O, al contrario, soluzioni di ordine pratico vengono dispensate con l’intento di prendersi cura del proprio compagno/a senza considerarne la sensibilità o la disponibilità ad accoglierle.
La confidenza che si crea in una relazione stabile, infine, non dovrebbe essere confusa con l’autorizzazione ad essere impulsivi o francamente aggressivi nel modo di comunicare.
Essere cresciuti in un ambiente nel quale il genitore ha dato poco spazio al confronto e alla fiducia, alla possibilità che anche due modi di fare differenti possano condurre allo stesso risultato, può portare a convincersi che il nostro partner debba comportarsi esattamente come vogliamo noi.
La delusione di questa aspettativa può condurre a formulare un giudizio negativo nei confronti dell’altro, ad un progressivo disinnamoramento nella convinzione che le nostre necessità vengano trascurate o che il nostro/a compagno/a non si stia impegnando abbastanza per il bene della relazione.
Una volta che si considera la propria relazione stabile, definire delle regole comuni può essere molto impegnativo.
LA FINE
La fine non corrisponde solo al momento in cui si comunica all’altro/a che non si intende più proseguire la relazione.
Anche quando non ci siano da risolvere questioni pratiche come la divisione dei beni o l’affidamento dei figli, vi è comunque una fase di passaggio nella quale entrambi i membri della coppia che si scioglie prendono contatto con questa nuova realtà e dovrebbero lasciarsi spazio e modo di elaborare le loro riflessioni e sentimenti sull’accaduto.
Affrontare questo cambiamento è sempre difficile, in special modo per chi non ha ricevuto un’educazione affettiva che gli consenta di comprendere e contenere le emozioni dolorose che caratterizzano questa fase, comprese quelle del partner che ha deciso di interrompere la relazione.
Prima di essere in due, ogni persona ha ricevuto degli insegnamenti e degli esempi su come prendersi cura delle proprie emozioni.
Sembra che fra gli stereotipi più frequentemente riscontrabili nell’educazione delle femmine ci sia quello dell’impossibilità a rimanere da sole. In questo caso, il tempo che ci si concede per elaborare la fine di una relazione sembra protrarsi senza riuscire a trovare un nuovo adattamento, fino a rimpiangere il compagno/a perduto non tanto per la perdita della specifica persona, ma per ripristinare una condizione nella quale evitare di affrontare spiacevoli stati emotivi e la responsabilità di un nuovo inizio a partire da sé stesse.
Di frequente nell’educazione dei maschi si riscontra una maggiore trascuratezza della sfera affettiva, si parla loro utilizzando meno vocaboli che descrivono le emozioni e si tende a perpetrare modelli di genere sull’inopportunità di esprimere il proprio disagio attraverso il pianto o altri segnali considerati di “debolezza”. Limitando l’espressione di questi stati d’animo, è possibile che le proprie sensazioni vengano scambiate per altro, somatizzate o che l’incapacità ad esprimersi porti a reagire con la completa eliminazione dello stimolo che ha generato disagio.
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