Un argomento molto discusso negli ultimi anni è quello delle relazioni con uomini genericamente denominati “narcisisti”. Escludendo una dissertazione più puntuale su cosa voglia indicare questo termine, spesso confuso a categorie psichiatriche bene precise, mi piacerebbe porgere una riflessione su un fenomeno collaterale dato dall’eccessiva semplificazione.
Ancora una volta, la donna e il suo ruolo sociale e relazionale rischiano di essere relegati alla sola figura di vittima, essere impotente e sofferente nelle mani del mostro. E sempre considerata figura accessoria all’uomo. L’attenzione è dedicata all’uomo narcisista, con le sue spregiudicate manovre manipolatorie e la vacuità dei suoi sentimenti. Ma anche alla sua ineludibile potenza.
Fortunatamente molta buona saggistica psicologica evidenzia una realtà dei fatti più complessa. A questo proposito, suggerisco caldamente la lettura di “Ho sposato un Narciso” di Umberta Telfener, al quale mi ispiro liberamente in questo articolo. Quale tipo di donna rimane incastrata in una relazione con questa specie di uomini? La risposta sembrerebbe essere: una donna altrettanto narcisista.
Esentandoci da qualsiasi giudizio su questo termine ormai banalizzato e demonizzato, mi sembra importante considerare ciò che accade nello spazio relazionale, oltre alle caratteristiche del singolo individuo che lo abita. Una relazione si compone di almeno due individui, ed ognuno sostiene quel ruolo che ne consente un sano sviluppo – in termini di crescita personale e di coppia – oppure un arresto in dinamiche disfunzionali per tutti e due.
Ina una relazione di stampo prevalentemente narcisistico entrambi i membri della coppia si sentiranno a turno vittime, non compresi, rifiutati e, inconsciamente o meno, frustrati e frustranti. Entrambi, dunque, metteranno in atto comportamenti ambivalenti nei confronti della relazione e del proprio partner, tesi a mettere alla prova l’altro e a guadagnarsi una sorta di “vittoria” pagata a caro prezzo: lo vedi quanto faccio per te? Amami! Lo vedi quanto soffro? Salvami! Lo vedi che ho ragione io? Ammirami!
Un dialogo (monologo?) teso a confermare il proprio valore personale, evidentemente percepito come scarso da sé stessi, e privo di riflessione nei confronti di cosa significa realmente essere in relazione.
La vita di una coppia è costellata da difficoltà, momenti di passaggio e cambiamento, evoluzioni profonde. Richiede una continua manutenzione per rimanere viva e feconda, una costante capacità di mettersi in discussione e comunicare in maniera autentica valutando anche il contesto sociale, culturale, economico e familiare in cui ci si trova di volta in volta, le aspettative e i desideri, e soprattutto i propri sentimenti autentici e attuali.
Le grandi promesse iniziali, l’entusiasmo e l’idillio che sperimentano i membri di una relazione narcisistica non possono essere considerati solamente fandonie senza senso o intenzionali tentativi di distruggere l’altro, ma preludio di un lavoro approfondito e costoso per entrambi, al fine di trasformare l’eccitazione in un sentimento più autentico e duraturo, fatto di alti e bassi, di “normalità” quotidiana (cosa che i narcisisti e le narcisiste detestano), di riconoscimento in primis della propria incapacità a comprendere e gestire le emozioni di noia, i fantasmi di abbandono, la pesantezza dell’impegno.
In quest’ottica, anche una coppia narcisista può funzionare come tutte le altre, attraversando con consapevolezza e accettazione le diverse fasi della loro vita relazionale, imparando a trasformare la dipendenza in interdipendenza e, perché no, continuando a giocare nella loro specialità: la ricerca di nuove forme di eccitazione ed entusiasmo come solo loro sono in grado di costruire. Insieme.
N.d.A. Onde evitare spiacevoli fraintendimenti, tengo a specificare che il riferimento è a forme di narcisismo non patologico, né intendo prendere in considerazione condizioni di violenza psicologica, fisica o morale alcuna, che devono essere sempre rispettosamente trattate in tempi, luoghi e modalità più opportune.
Foto: René Magritte, Les Amantes, 1928
Comments