Un quesito che qualunque paziente si è posto, prima o poi. Insieme ad altre questioni spinose che la decisione di intraprendere una psicoterapia sollevano.
Ma se vengo qui per stare bene, perché soffro?
Perché devo ripensare alle cose brutte che mi sono successe?
Perché devo esprimere i miei sentimenti negativi verso me stesso e/o gli altri?
Il nostro corpo e la nostra relativa organizzazione mentale si strutturano attorno all’esperienza del dolore, sia esso evolutivo o di natura specificamente traumatica, proteggendosi attraverso un’operazione di corazzamento che non solo condiziona il nostro funzionamento di base nel mondo, il nostro carattere, ma trova la soluzione migliore possibile per superare lo stato emotivo che ci ha messo in crisi.
Qualunque sia questa soluzione migliore, comporta l’allontanamento dal sentimento doloroso. È per questo che, durante il processo psicoterapeutico, si ha la percezione di soffrire quanto e più di prima andando a rivangare nel passato ricordi e sensazioni, risvegliando proprio la reazione emotiva da cui ci stiamo difendendo.
Causa principe della sofferenza in psicoterapia, dunque, la scoperta di uno o più particolari nodi esistenziali che non si sono sciolti adeguatamente. Ma è proprio il coraggioso confronto con questi nodi in un tempo, in un luogo ed in una relazione diversi dalla nostra esperienza originale, che ci consente di osservarli da una posizione di sicurezza, consentendo di attivare delle nuove risorse per fronteggiarli.
Ma che ci posso fare se sono fatto così?
E ora che mi succede?
Cosa sto facendo?
Altro generatore di disagio in psicoterapia è la nostra connaturata resistenza al cambiamento.
Mettersi in discussione e trasformare idee o comportamenti, sentire che le nostre emozioni e reazioni non sono più solo quelle a cui siamo abituati, attiva nella nostra organizzazione interna un segnale di allarme.
Il corpo si esprime attraverso un linguaggio piuttosto elementare di espansione (piacere) e contrazione (dolore), ma è proprio in questa dialettica che la mente dovrebbe inserirsi come supporto per dotare di senso l’esperienza come positiva o negativa, sostenibile o no, utile o meno, al fine di sostenere lo sforzo richiesto per un cambiamento.
Il principio basilare dell’esistenza è restare vivi e in salute.
Pertanto, siamo dotati di allarmi che ci avvertono quando qualsiasi elemento nuovo sta perturbando il nostro sistema.
Ma una volta garantita la sopravvivenza siamo fatti anche per evolverci, quindi per cambiare ed adattarci.
Oggi più che mai la direzione di questa evoluzione non è solo una legge di natura, ma una scelta molto personale che risponde al quesito: cosa sono disposto a fare per essere me stesso?