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R.L.

IL BENE, IL MALE E LA SOCIETA’


Hannah Arendt è nota soprattutto per le sue teorizzazioni su quella che essa stessa ha definito “banalità del male”, che le costarono non poche avversioni da parte dell’opinione pubblica e della comunità ebraica.

Sebbene il suo pensiero sia molto articolato, possiamo riassumerne due caratteristiche fondamentali. Una è che il male non è un assoluto, non è qualità di un singolo individuo particolarmente perverso ma di un sistema sociale che spersonalizza gli individui attraverso burocrazia e gerarchia. Il secondo, è che in un sistema tal fatto la singola persona si assume la responsabilità di un compito parziale e specifico, non vedendo o non volendo vedere lo scopo a cui le sue azioni sono funzionali su larga scala.

Ciò che accade in queste condizioni è che in situazioni di paura, insicurezza o difficoltà gli individui si aggrappano ancora di più alla loro piccola realtà, credendo che fare bene la propria parte garantisca l’immunità e la tranquillità dal resto degli accadimenti sociali. Di fatto, si diventa pedine di un “sistema”, identità che diviene sempre più astratta e pesa sul capo come un tremendo nuvolone. E proprio come un improvviso scroscio temporalesco fa sentire impotenti, se non a correre il prima possibile sotto un riparo, così ci sentiamo rispetto alla cultura di massa che abbiamo contribuito a creare.

Si tratta di un meccanismo subdolo, determinato da ripetute azioni quotidiane alle quali non viene dato spazio di riflessione.

Gli esempi possono essere numerosi: da quello eclatante presentato da Arendt del funzionario tedesco Adolf Eichmann che, firmando gli ordini di viaggio della deportazione in campi di concentramento di migliaia di ebrei sostenne al suo processo di “aver solo svolto il suo lavoro obbedendo agli ordini”, non considerando un suo problema le conseguenze che quei trasporti avrebbero prodotto; fino alla nostra routine quotidiana, quando continuiamo a camminare pur sentendo un grido di aiuto, confidando che qualcun altro presterà soccorso al posto nostro.

È lo stesso principio su cui si basa la comunicazione mediatica quando, a fronte di problemi sociali allarmanti punta il dito su una politica amministrativa, su un leader o su una particolare categoria sociale. Si individuano i mostri da distruggere per scaricare la rabbia verso un obiettivo ben definito, identificando in un altro da sé quello che non funziona.

Ebbene, se il sistema socio-culturale in cui viviamo è frutto delle tendenze di massa, esiste la possibilità di invertire la rotta partendo dalle azioni del singolo.

Secondo Alexander Lowen, fondatore dell’Analisi Bioenergetica, ognuno di noi - se libero da costrizioni sociali e fisiche - sente cosa è salutare per sé, e sente che l’altro non è un semplice soggetto X da cui ricavare qualcosa ma una persona molto prossima a lui in termini di sensazioni, bisogni fondamentali, desiderio di amare ed essere libero di esprimersi. Sente, inoltre, di essere parte della natura e con essa della società, per cui agente attivo del mondo in cui vive.

Compiere delle scelte crea molta ansia in ciascuno di noi, soprattutto quando perdiamo la capacità di connetterci con la nostra natura più intima e individuale, perché comporta un giudizio sociale ed un’esposizione delle quali faremo volentieri a meno: sei egoista, non si rinuncia al posto fisso, non puoi lasciarmi da solo, stai sbagliando, non è educato…e chissà quante altre frasi ognuno di noi potrebbe aggiungere. Fino a non capire più cosa si desidera veramente e a doversi fidare dell’opinione comune per trattare le sfide e le possibilità che ci si prospettano. Aumentando così la frustrazione e la rabbia, il bisogno di eliminare gli stimoli e le persone divergenti, mettendo a tacere quella voce interiore che dichiara il nostro malessere e che finisce con l’esprimersi attraverso la malattia.

Invertire questo processo è un’operazione lenta, che comporta uno sforzo quotidiano di raccordo fra quello che si-sente-dire-è-giusto-fare e quello che riconosciamo come la nostra verità, come ciò che è sano per noi. Non si tratta di una valutazione egoistica basata sul soddisfacimento immediato di un bisogno ad ogni costo, ma di una riflessione in armonia con la nostra natura primaria e l’eredità che si intende lasciare al mondo.

Lavorando per dialogare con la nostra vera essenza, ogni giorno facciamo un piccolo passo che ci induce a cambiare schemi di pensiero e comportamenti abituali, stimolando anche chi ci sta intorno a mettere in discussione il sistema di valori dominante non attraverso la parola, ma attraverso piccoli gesti quotidiani, ri-modellamenti reciproci e scambi affettivi autentici.

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