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  • R.L.

Perché non mi ami più? La fine della simbiosi in una coppia


Agli inizi della formazione di una coppia è consueto che i partner si dedichino reciprocamente tutte le loro attenzioni; al crescere dell’intensità del sentimento si sperimenta una condizione di totale dedizione di tempo, pensieri e risorse rivolti all’altro.

Questo perché una coppia che vive la relazione con un’aspettativa a lungo termine necessita di approfondire la conoscenza reciproca e di mettere alla prova il funzionamento della relazione. E non solo: si tratta certamente di una fase del percorso ricca di emozioni ed entusiasmi che non bisogna lasciarsi sfuggire!

Purtroppo, però, arriva il momento in cui altre necessità bussano alla porta e diventa necessario ritornare ad occuparsene. Il lavoro, lo studio, ma anche gli hobbies e gli interessi più ampi di vita sono componenti dell’esistenza di ognuno di noi che definiscono chi siamo e di cosa vogliamo nutrirci.

Può succedere che la fine di questo naturale stato di simbiosi non coincida, dunque uno dei due partner senta questo ritorno all’individuazione come una separazione, un distacco, una mancanza di sentimento.

Soggiogati dall’idea di aver trovato la parte mancante della mela, si fatica non poco a vedere la persona oltre il proprio bisogno affettivo, e dunque a lasciarla libera di esprimersi anche lontano da noi.

È il momento in cui iniziano a verificarsi le prime “crisi”: Perché non mi ami più? Vuoi forse dirmi che esiste qualcosa di più urgente che stare con me? Ma lo sai quanto avevo bisogno di te?

Avvertire questa sorta di separazione in modo spiacevole è più che comprensibile. L’unione affettiva fra due persone conduce a sperimentare una condizione regressiva pari a quella che ci ha visti bambini bisognosi privati del genitore.

Là ed allora, da bambini, non avevamo gli strumenti per comprendere altre necessità oltre alle nostre, compresa quelle di ritagliarsi degli spazi di autonomia da parte dei genitori. Nella realtà odierna dovremmo essere in grado di renderci conto che la persona che amiamo è proprio quella perché ha trovato lo stile di vita che adesso ce la fa essere distante, seppure solo per una questione temporale e non affettiva.

Rispettare l’altro significa anche garantirsi il rispetto dei propri interessi e necessità, ed evitare che la relazione si trasformi in un accudimento del tipo genitore-figlio piuttosto che un rapporto alla pari.

Se il senso di solitudine o angoscia che avvertiamo non si placa, è opportuno riflettere sul proprio modo di stare in relazione.

Una relazione di coppia equilibrata prevede la possibilità di trascorrere del tempo da soli senza sentirsi smarriti, perché l’altro non dovrebbe costituire la nostra unica fonte di piacere. Se così ci sembra, invece che attuare delle strategie (più o meno involontarie) per “stringere il cappio”, forse dovremmo fare il contrario e provare a vivere i momenti di lontananza ancora più intensamente, in modo che ritrovarsi sia un arricchimento di una qualità della vita già soddisfacente.

È seducente pensare che possa esserci al mondo qualcuno che compensi tutti i nostri bisogni, provveda a noi e ci faccia sentire sempre felici e protetti. Ma nessuna relazione può essere simbiotica e favorire lo sviluppo personale allo stesso tempo; il rischio è di ritrovarsi ad essere dimezzati piuttosto che arricchiti, di perdere autonomia e di non riuscire a perseguire gli obiettivi esistenziali individuali.

Le coppie che hanno maggiore possibilità di durare nel tempo e che dichiarano a distanza di anni di essere soddisfatte della loro relazione condividono interessi, progetti, idee e passioni tenendosi per mano, e non portandosi in braccio reciprocamente.

Un rapporto fra due adulti che hanno fiducia in se stessi e nel proprio compagno presuppone l’esistenza di risorse sufficienti a comprendere la necessità di vivere da esseri autonomi pur scegliendosi continuamente, superando il bisogno di compensare dei vuoti affettivi che potrebbero avere un’origine antica da esplorare in una dimensione terapeutica o, comunque, individuale.

Al termine della fase simbiotica, superato lo sgomento iniziale, dovrebbe subentrare la pienezza del porsi nei confronti del partner come persone realizzate, in grado di apportare nuovi contributi all’interno della relazione, certi che la distanza fisica non comporti una mancanza di amore e non precluda la possibilità di ritrovarsi ancora più desiderosi di quei momenti di intimità che ci hanno resi un NOI oltre che IO.


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