Scende vertiginosamente dalla top-ten mediatica l'argomento della violenza sulle donne. Fino al prossimo femminicidio. Come se, nel frattempo, non si stiano perpetrando numerosi abusi fisici e psicologici (denunciati o tenuti nascosti).
In questi ultimi tempi l'attenzione della comunità scientifica e non sta focalizzando l'attenzione sul mondo maschile e sulle reponsabilità di questi uomini maltrattanti. A tal proposito è di recente pubblicazione un libro del giornalista inglese Tim Samuels, che evidenzia le difficoltà per gli uomini di oggi di incanalare in modo costruttivo la naturale aggressività della nostra specie. Non sono del tutto persuasa che praticare sport di gruppo ed attività manuali sia la soluzione giusta, dato che competitività e lotte di potere potrebbero addirittura inasprirsi in questi contesti, ma ciò che mi pare interessante è il cambio di direzione che la nostra cultura sta effettuando in quest'ambito.
Oggi più che mai è necessario trovare una strategia d'azione che non giochi solo "in difesa". Troppo spesso si continua a porre l'accento sulle misure di prevenzione e sulle tutele legali a cui le donne possono attingere in caso di violenza, e il taglio di molti articoli reperibili sulle riviste femminili si concentra sul riconoscimento dei primi segnali di pericolo provenienti dal partner o da un uomo in generale.
Misure e proposte certamente utili, ma non efficaci nella risoluzione del problema.
Una volta individuato il soggetto potenzialmente pericoloso non è possibile estrometterlo dal resto della società, a meno di coglierlo in flagranza di reato. D'altronde le misure restrittive e carcerarie non hanno solo lo scopo di infliggere una punizione a chi devia dalla norma, ma sono volte anche alla riabilitazione del soggetto.
Gli stessi centri anti-violenza - fra l'altro attualmente penalizzati dalle politiche sociali - possono tutelare solo quella parte di donne che trova il coraggio e la determinazione di denunciare gli oppressori, i quali agiscono anche e soprattutto minando il senso di sicurezza e autonomia decisionale delle vittime.
Questi centri nascono in un momento storico nel quale il patriarcato era la regola, e dunque si sono posti come obiettivo quello di creare una via di fuga e offrire una possibilità di cambiamento a donne che avevano poche risorse (anche economiche e sociali) a disposizione.
Ora, in una società che si voglia davvero definire moderna non dovrebbe essere nemmeno pensabile che la responsabilità maggiore di situazioni gravi come queste sia a carico dei soggetti offesi.
Piuttosto è necessario muoversi in fretta nella direzione della cura e prevenzione, quindi con interventi rivolti agli uomini. E' indispensabile far luce sui meccanismi che generano e nutrono la violenza maschile, guardare al cuore del problema.
La violenza sulle donne non deve certo essere considerata una malattia, chi la compie ne ha piena responsabilità e può cambiare la sua condizione. Ma questi soggetti devono e possono essere aiutati dai professionisti del settore, prima che avvenga quell'evento irreparabile che spezza le vite di donne e famiglie per sempre.
Mi auguro che le istituzioni si mobilitino presto per consentire un lavoro congiunto di protezione delle donne da un lato, e di cura degli uomini dall'altro.
A livello comunitario è più che mai doveroso non chiudere gli occhi di fronte a situazioni critiche. Coloro che si trovino spettatori di atti violenti o potenzialmente tali e non fanno nulla sono complici, e comunicano alle donne che si trovano a vivere questi momenti una muta approvazione di ciò che sta avvenendo.
Soprattutto nei grandi centri urbani, le coppie vivono spesso isolate dalla famiglia allargata e hanno poco tempo da dedicare alle relazioni sociali. Quelli che erano ammortizzatori forti di ansie, stress e timori vengono a mancare.
Restiamo fondamentalmente soli con il partner, per cui è più difficile separarsene e bloccare le comunicazioni e le azioni disfunzionali che fanno da battistrada alla violenza. Proprio per questo è importante sapere che esistono luoghi dove poter condividere i propri vissuti e dolori, dove poter chiedere aiuto e riparo.
Da donna, sono stanca di sentirmi in pericolo dentro e fuori casa, di sentirmi non tutelata e incompresa e mi auguro che le iniziative sociali dei centri per uomini maltrattanti alzino la loro voce, perchè "prevenire è meglio che curare". Ed è sicuramente meglio che piangere sulle tombe.